Non solo il caos tariffario dei giorni scorsi. Nonostante il quadro positivo tracciato dall’amministratore delegato Massimo Sarmi (per la prima volta 118 milioni di dividendi su un totale di 349 milioni di utili netti, risultati anticipati da “Vaccari news” il 20 aprile ed approvati ieri dall’assemblea degli azionisti di Poste italiane), la razionalizzazione va a scapito degli aspetti sociali del servizio.
L’ultima levata di scudi arriva dall’Unione nazionale dei comuni e delle comunità montane, che ha chiesto al rappresentante dell’azienda di “bloccare la riorganizzazione degli uffici postali prevista dal progetto External, che prevede il riordino e l’accorpamento della gestione contabile dei piccoli uffici a quelli più grandi, e di aprire le trattative con comuni e comunità montane per una soluzione condivisa”.
Tale strategia, secondo gli esperti dell’Unione, comporterebbe la riduzione del servizio nei centri con meno di 500 nuclei familiari, penalizzando di conseguenza circa 1.250 paesini. “Comprendiamo -afferma il presidente dell’Uncem, Enrico Borghi- le motivazioni di carattere economico che dettano la decisione di Poste italiane ma siamo convinti che possa esserci un’altra soluzione condivisa con gli attori sul territorio”. Se alle difficoltà logistiche e di trasporto si associa poi l’età anagrafica media della popolazione che risiede in questi territori, solitamente avanzata, risulta evidente come la persistenza dei servizi, e di quelli di comunicazione in primo luogo, rappresenti un’esigenza fondamentale per quelle aree. “Conosciamo le regole dei mercato -conclude Enrico Borghi- e non pretendiamo che le strategie di Poste italiane seguano le logiche del sociale invece che del profitto. Bisogna però evitare che siano le aree più fragili e deboli a pagare lo scotto di tale esigenza di profitti”.