Libri, poster, bicchieri, medaglie, sciabole, quaderni, fumetti, figurine Ferrero e Liebig, orologi, cammei, soldatini. Senza contare i prodotti commerciali (pasta, liquori, carte per sigarette...) che portano il suo nome. A due secoli dalla nascita, Giuseppe Garibaldi resta un mito. Anzi, “Garibaldi. Il mito”, come si intitola il gruppo di mostre che Genova dedica, fino al 24 marzo, al protagonista del Risorgimento.
Gli oggetti che lo citano, fra i quali spiccano pure alcune cartoline, sono visibili in particolare alla Wolfsoniana di Nervi, dove un percorso riprende manifesti e propaganda che, appunto, hanno sfruttato il personaggio.
A poche decine di metri, la Galleria d’arte moderna si concentra su un secondo aspetto, attraverso l’allestimento “Da Rodin a D’Annunzio: un monumento ai Mille per Quarto”. Ricostruisce la storia del progetto e del lavoro firmato dallo scultore Eugenio Baroni (1880-1935), che tanto scandalo destò per la nudità con cui l’eroe era raffigurato. Nelle vetrinette, anche un carteggio con Gabriele D’Annunzio, che all’inaugurazione interverrà pronunciando un discorso rimasto celebre.
Davvero numerosi i riferimenti postali al Museo del Risorgimento, dove si affronta il tema “Genova garibaldina”. Oltre ad esporre parte della collezione di Giovanni Spadolini (con Bettino Craxi, fu tra i più noti estimatori del generale), conserva lettere di Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini ed ancora di altri. La “chicca” è forse il cifrario del 1833, appartenuto a Goffredo Mameli: talmente segreto da non essere ancora stato decifrato.
Palazzo Ducale, infine, si occupa di quadri e sculture, attraverso la sezione “Da Lega a Guttuso”. Tra la pittura “di genere” ricorre il tema postale, in particolare con “La lettera”, olio su tela creato tra 1860 e 1865 e attribuito a Gioacchino Toma (1838-1891) nonché con “Lettera del volontario”, altro olio risalente al 1861, questo dovuto a Giuseppe Moricci (1806-1879).
Un viaggio, dunque, nei mille aspetti di una leggenda e su come questa è stata interpretata in meno di due secoli. Perché, come disse il “Vate”, “il generale fa tutte le figure, da quella del piantatore americano a quella del cavallerizzo, da quella del fattorino telegrafico a quella del mimo”.