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editor Fabio Bonacina

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Tra le priorità, l’unificazione continentale dei servizi postali, telegrafici e telefonici. Lo documenta la mostra ospitata a Milano

Il percorso dedicato a Luigi Einaudi resterà a Milano fino al 25 gennaio
Il percorso dedicato a Luigi Einaudi resterà a Milano fino al 25 gennaio

Il primo punto è la “necessità di elencare tassativamente i compiti”. Ma già al secondo occorre mettere mano a posta, telegrafi e telefoni, se si vogliono affrontare “i compiti economici” della Federazione europea. Lo scriveva Luigi Einaudi (1874-1961), con lo pseudonimo “Junius”, nel 1944.

“Una amministrazione postale telegrafica e telefonica federale può evidentemente gestire quei servizi di natura evidentemente tecnica, con molte più economicità e in modo assai più efficace di quanto possa accadere con amministrazioni separate”. Parole che oggi -davanti alla liberalizzazione imposta da Bruxelles- suonano stridenti. Allora, invece, erano considerate fondamentali.

Sono citate nella mostra “L’eredità di Luigi Einaudi - La nascita dell’Italia repubblicana e la costruzione dell’Europa”, proposta a Milano presso il palazzo della Ragione (piazza Mercanti 1) fino al 25 gennaio. Poi, l’allestimento, già ospitato a Roma, verrà portato a Torino.

L’approccio è decisamente postale. Soprattutto per le numerose lettere riprodotte (mai le relative buste, ed è un peccato), a testimoniare la vita e l’attività dell’economista e politico che fu anche governatore della Banca d’Italia, membro della Costituente, ministro e, tra il 1948 ed il 1955, presidente della Repubblica. Lettere specchio dei tempi, come quella scritta dal direttore del “Corriere della sera”, Luigi Albertini il 21 aprile 1904, che suggerisce al futuro capo di stato di installare in casa, a spese del giornale, un telefono. O quella scritta dallo stesso Einaudi il 28 novembre 1925: diretta alla redazione del quotidiano milanese, rappresenta il commiato dopo il giro di vite imposto dalla dittatura.

Figurano brani di carteggi scambiati nel tempo con il filosofo Benedetto Croce, il pubblicista Ernesto Rossi confinato a Ventotene, il diplomatico Carlo Sforza, il leader democristiano Alcide De Gasperi, Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, il ministro Ezio Vanoni per discutere della riforma tributaria. Colorate le testimonianze speditegli il 12 maggio 1948 dai bambini di Dogliani (il paese in provincia di Cuneo dove risiedeva) quando venne eletto al Quirinale. Simboliche le cartoline di propaganda elettorale del secondo dopoguerra o il foglio già intestato “Camera dei fasci e delle corporazioni”, riciclato con un timbro per l’Assemblea costituente. E poi i telegrammi, magari portatori di sgradite notizie, come quello del direttore d’orchestra Arturo Toscanini che il 7 dicembre 1949 rinunciava alla nomina di senatore a vita.

La vicenda personale di Einaudi, caratterizzata persino dalla ricostruzione di tre fra i suoi ambienti di lavoro, si dipana avendo sullo sfondo la storia comune, dagli albori del Novecento fino alla sua scomparsa. C’è spazio addirittura per Paolo Paschetto, citato non solo per la sua proposta riguardante lo stemma della Repubblica. Come si legge, “fu autore, tra l’altro, di numerosi francobolli, compresa «la rondine»”, soggetto appartenente alla prima emissione aerea postbellica.

Il più significativo omaggio postale a Luigi Einaudi risale al 23 marzo 1974; è il francobollo da 50 lire con cui l’Italia ha ricordato il secolo trascorso dalla nascita. Il protagonista è anche citato, insieme agli altri ospiti del Quirinale, nel 150 lire dell’1 giugno 1976 per il trentesimo della Repubblica.

La lettera inviata dal presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, a Luigi Einaudi il 31 maggio 1947 (Archivio Fondazione Luigi Einaudi di Torino)
La lettera inviata dal presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, a Luigi Einaudi il 31 maggio 1947 (Archivio Fondazione Luigi Einaudi di Torino)



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