La sepoltura in San Francesco -scrive nel suo insuperato libro Iris Origo, risalente al 1957, “Il mercante di Prato” (ora in Italia edito da Corbaccio, 384 pagine, 20,00 euro)- “fu posta ai piedi dell’altare maggiore e intorno alla sua figura giacente i cittadini di Prato possono leggere oggi ancora l’iscrizione in parte cancellata dal tempo”. In ogni caso, nel centro storico della città rimangono il palazzo (sede, fra l’altro, dell’Istituto di studi storici postali) e la statua. “Anche se non è esatto considerarlo l’inventore della cambiale”, nel monumento viene rappresentato con in mano un mazzo di questi strumenti.
È morto a Prato il 16 agosto 1410, esattamente sei secoli, il commerciante Francesco di Marco Datini, nato attorno al 1335, conosciuto per un cospicuo lascito ancora attivo in favore dei bisognosi e titolare dell’archivio epistolare fortunosamente sopravvissuto ai tempi. Per la ricorrenza l’Italia ha predisposto una busta postale che arriverà il 20 ottobre, così da associarsi ad altre iniziative che intendono celebrarlo.
Non fu solo il mercante del Trecento che accumulò una straordinaria fortuna: consacrò alla scrittura un tempo non inferiore a quello che dedicava agli affari, e immagazzinò le carte con la stessa cura con cui imballava e conservava le merci. Nel 1870, quando alcuni studiosi cominciarono a lavorare sul suo archivio, trovarono -spiega la studiosa, a sua volta scomparsa nel 1988- “centocinquanta mila lettere, più di cinquecento registri e libri di conti, trecento contratti di società... quattrocento contratti di assicurazione e parecchie migliaia di polizze di carico e assegni”. Oltre a raccontare la storia di una vita, dei rapporti coniugali e familiari e di una impresa, l’insieme rappresenta il più grande manuale commerciale del periodo, un enorme catalogo dove sono documentati e descritti gli strumenti con cui i mercanti italiani, insieme ai loro colleghi di altri Paesi, avevano trasformato le regole del commercio internazionale. Meglio di qualsiasi trattato, l’archivio Datini racconta la storia di una grande modernizzazione economica e rende merito al genio di un uomo che dal quartier generale toscano governava un impero commerciale esteso sul Mediterraneo occidentale.
Le lettere erano portate da un corriere che poteva giungere “polveroso e affaticato”. Scritte “su pezzi di carta piegati in tre, chiuse da un cordino che passava attraverso buchi praticati ai margini laterali” e sigillato all’estremità. Ogni gruppo di missive era poi avvolto in un canovaccio impermeabile, inserito in un sacco o scarsella (cioè la borsa) chiuso dal mittente, e quindi appeso alla cintura del fattorino. Tali corrispondenze “hanno una cosa in comune: di qualunque evento si tratti, sia una battaglia o una tregua, la voce di una pestilenza, di una carestia o di un’inondazione, l’elezione di un papa o il matrimonio di un principe, tutto viene segnalato in vista dell’effetto che può avere sul commercio”.