Si chiamava Giuseppe Seunik ed era un militare triestino che portava la divisa austroungarica. Lealista, dunque. Eppure italiano, tanto è vero che con la moglie Emilia Artico e con il fratello di lei, Gottardo, corrispondeva nella lingua di Dante.
La loro corrispondenza, inviata attraverso la posta militare asburgica, sarà protagonista dell’incontro che Comune di Trieste e Associazione culturale Zenobi propongono per l’8 dicembre alle ore 17.45 presso il salone degli Incanti (ex Pescheria centrale, riva Sauro 1). È “Lettere da una città in guerra, Trieste 1914-1918”, uno dei numerosi appuntamenti inquadrati nel percorso “Come l’Europa cambiò volto. Le molte facce di una stessa Storia - dibattiti, proiezioni, spettacoli”, destinato a informare e a far riflettere nel novantesimo anniversario dell’armistizio che ha chiuso la Prima guerra mondiale.
Il materiale è stato trovato da Roberto Todero, imprenditore cinquantottenne con la passione per la ricerca e poi raccolto, era il 2004, nel libro “Dalla Galizia all’Isonzo” (edizioni Gaspari). “Colleziono atmosfere”, precisa a “Vaccari news”. “Ho cominciato a interessarmi alle cose, per passare all’epoca cui si riferiscono e a quanto essa rappresenta; non mi interessa lo specifico oggetto, ma quello che può raccontare. Anni fa ho acquistato un grande corpo di lettere risalente alla Prima guerra mondiale; sono circa un migliaio, tutte appartenenti alla famiglia Seunik. Vanno dal 1914 al 1918, seguendo passo dopo passo l’evolversi del conflitto”.
“Il punto di riferimento principale è la moglie, rimasta a Trieste: scrive di cose personali e quotidiane, ma racconta anche dell’aumento dei prezzi, dei ladri, dei bombardamenti... Il marito, invece, all’inizio del carteggio si trova a Lubiana con compiti da fureria. Poi, fa un corso come sottufficiale della riserva ed il nuovo incarico lo costringe a spostarsi continuamente. In ogni caso, trova il tempo di scrivere, anche due o tre volte al giorno, e il tempo che intercorre tra l’invio e la ricezione è di due, massimo tre giorni. La volta in cui l’attesa aumenta a sei giorni, si domanda preoccupato se la macchina organizzativa non si fosse inceppata. Pino -come lo chiama la moglie- è ligio, ma non ha mai espressioni estreme. Riceve ed invia lettere anche ben oltre il 3 novembre 1918, dimostrando che, nonostante il collasso dell’Impero, i suoi servizi funzionavano ancora”.
“Per l’appuntamento dell’8 dicembre ho selezionato una cinquantina di lettere, ma sarà Elke Burul a leggere ed interpretare quelle che la sua sensibilità le avrà suggerito. Io le commenterò dal punto di vista storico e sociale: si tratta di un’esperienza che abbiamo già sperimentato tempo fa con buoni risultati”.
La partecipazione alla serata è libera.