L’entrata ufficiale, quella che guarda su viale Europa, è spesso occupata dalle moto parcheggiate; viene aperta soltanto quando qualche gruppo (circolo o scuola) si prenota per una visita. Mentre le persone singole, che comunque sono ricevute su appuntamento, passano dall’ingresso dei dipendenti, sull’altro lato del complesso edilizio, in viale America.
Anche da questi dettagli si capisce che al Museo storico pt, dal 1977 ospitato a Roma in un’area seminterrata dell’allora dicastero alle Poste e telecomunicazioni, qualcosa non va. Impressione confermata visitando gli interni, dove l’allestimento è ancora quello dell’inaugurazione, con, in più, soltanto il logorio del tempo trascorso: qualche vetrinetta al buio da sistemare, infiltrazioni d’acqua che hanno fatto anche di recente danni, didascalie ormai illeggibili, approccio un po’ datato.
Eppure, i tesori inseriti nell’allestimento sono tanti, da un ufficio a dimensioni reali dell’Ottocento agli enormi impianti per alimentare la rete della posta pneumatica, dai vecchi telegrafi ai reperti impiegati da Guglielmo Marconi, dagli apparati telefonici e televisivi d’antan alle divise dei postiglioni. Senza contare le tante buche e cassette postali antiche e meno, i distributori automatici, i manifesti, l’oggettistica e la grande area filatelica.
“La situazione -ammette a «Vaccari news» il direttore del Museo, Renzo Romoli- non è più sostenibile”. Renzo Romoli ha cinquantacinque anni e da tre dirige la struttura. Struttura che oggi conta complessivamente tre dipendenti. Originariamente erano ventuno, “ma non si è mai provveduto a sostituire il personale collocato a riposo”. I due impiegati che coadiuvano il direttore seguono la ricerca, la piccola manutenzione e soprattutto la marcofilia. Qui, infatti, finiscono tutte le obliterazioni speciali impiegate in Italia, che quest’anno si fermeranno attorno a quota 2.000.
Quali sono le problematiche? “Innanzitutto -risponde- sono i fondi ridotti ed il personale insufficiente a seguire l’intera area museale. Poi, dobbiamo scontare una fruibilità limitata, perché gli ambienti non sono conformi alle attuali misure riguardanti prevenzione e sicurezza. Senza dimenticare le carenze funzionali: ad esempio, mancano manutenzione e un servizio assiduo per la pulizia, e siamo privi persino di una copertura assicurativa per eventuali danni a visitatori e cimeli (questi sono scoperti anche in caso di furto). E poi, non abbiamo più un esperto filatelico: la persona incaricata di tale servizio è andata in pensione, senza essere sostituita”.
Tutto questo incide sulla presentazione al pubblico, di certo non invogliato a visitare il percorso, in una città dove l’offerta di proposte culturali è agguerritissima. Nel 2007, tra scuole, gruppi e ricercatori, hanno visitato il Museo appena 630 persone.
“C’è persino il problema delle nuove forniture di francobolli; gli ultimi sono stati offerti dalla divisione filatelia di Poste italiane, perché in caso contrario non avremmo avuto i fondi necessari. La collezione, comunque, non comprende i due foglietti del 2006 dedicati ai diciottenni, anche se è una spesa che figura in preventivo”.
Già, Poste italiane. Come sono i vostri rapporti con la società? “Se si escludono quelli con la divisione filatelia, sono discontinui. Ad esempio, non abbiamo alcun contatto con l’Archivio storico, che pure dovrebbe avere obiettivi paragonabili ai nostri”.
E il progetto di creare una fondazione per valorizzare il Museo? “La proposta potrebbe essere una soluzione, ma non ho avuto più notizie al riguardo. Adesso, poi, dopo la scomparsa del ministero alle Comunicazioni, siamo impegnati nel gestire, per quel che ci riguarda, il passaggio nella nuova struttura che fa capo allo Sviluppo economico”.
Futuro? “Per ora, puntiamo alle potenzialità di internet. Stiamo per proporre un piano di valorizzazione del Museo tramite il sito web, l’unica strada che appare concretizzabile”.